Profilo Avv. Sergio Oliveri
Istruzione Diploma di Maturità classica ottenuto a Brescia e laurea in Giurisprudenza conseguita presso la facoltà di Milano Statale. Ha ottenuto l’attestato di superamento di
Considerando l’etereogeneità dei lettori cercherò di utilizzare un linguaggio facile, intuivo ed a-tecnico.
Il 30 ottobre 2018 la Corte d’Appello di Brescia ha emesso una sentenza molto commentata sugli organi di stampa e sulle piattaforme di discussione nell’ambito della qualificazione giuridica della ricchezza in moneta virtuale, digitale od in criptovaluta.
Questa sentenza ha riesaminato la pronuncia del giudice di prima istanza emessa il 18 Luglio 2019 menzionata su alcuni siti internet, che, in modo inappropriato, l’avevano commentata.
Purtroppo, come spesso accade, coloro che analizzano le sentenze di una Corte non conoscono la natura delle istanze ad essa presentate e non possono quindi avere un quadro esaustivo della materia affrontata dai Giudici, in quanto essi ne disciplinano i connotati generali solo in via incidentale e non esaustiva o risolutoria.
Poiché in moltissimi interventi è stato interpretato in modo fuorviante il contenuto di entrambe le sentenze dei Giudici di Brescia, ritengo opportuno offrire il mio contributo interpretativo per attribuire un carattere di autenticità all’analisi, essendo il sottoscritto l’estensore degli atti di causa ed il soggetto preposto a tutta l’attività di ricerca giuridica sottesa alla problematica.
L’oggetto dell’istanza esaminata dai giudici verteva sulla possibilità di utilizzare come bene per incrementare il capitale sociale di una società a responsabilità limitata, una moneta digitale a produzione centralizzata, non scambiabile attraverso le più note piattaforme delle criptovalute, non avente carattere speculativo e spendibile su una piattaforma di proprietà della società emittente: quindi totalmente diversa dal BitCoin.
Principalmente va esplicitato che la procedura che consente ad un socio di una società di capitali di sottoscrivere nell’assemblea l’aumento del capitale sociale mediante l’apporto “in natura” (ovvero con modalità diverse dal denaro) è disciplinata dal nostro codice civile dall’articolo 2464 c.c..
La procedura per tale azione deve essere sempre la seguente:
Il socio apportante presenta una perizia atta a dimostrare in modo verosimile che il bene offerto per incrementare il valore del capitale sociale sia suscettibile di valutazione economica.
Il notaio rogante attesta il valore in base agli elementi di tipo oggettivo in suo possesso trasmessi dal perito, il quale, per l’autorevolezza attribuitagli dall’iscrizione all’Albo fra i soggetti titolati dalla legge, certifica (sotto la propria responsabilità civile e penale) detto valore, giurando di aver adempiuto con diligenza e coscienza.
Il notaio, pertanto, non ha alcun titolo per entrare nel merito della tipologia dell’apporto né tampoco dell’attitudine del bene offerto in apporto ad essere suscettibile o meno di valutazione economica. La funzione del notaio è solo quella di natura certificativa del dato.
Nel caso di specie un socio aveva apportato opere d’arte regolarmente periziate e l’altro moneta digitale spendibile: il notaio si era rifiutato di adempiere ad un suo preciso obbligo inviando una missiva alla società nella quale spiegava che non poteva omologare la sottoscrizione del capitale per la sola parte apportata dal socio che offriva la criptovaluta in oggetto. Con ciò il notaio, quindi, generava uno squilibrio evidente all’interno della ripartizione delle quote del capitale sociale non avendo invece obbiettato nulla circa l’apporto da parte del socio che aveva offerto opere d’arte.
La domanda proposta ai giudici, quindi, non è stata, come tutti hanno commentato, di poter sapere se fosse o meno apportabile una ricchezza in moneta virtuale per incrementare il capitale sociale, bensì se la criptovaluta fosse da considerarsi un bene apportabile con le forme previste dall’articolo 2464 c.c. e quindi periziabile in quanto vi sono forme diverse di apporto.
La Corte d’Appello ha semplicemente spiegato che la criptovaluta oggetto della domanda non può essere apportata per incrementare il capitale sociale con le forme previste dall’articolo di cui sopra semplicemente perché non è un bene ma una moneta e quindi non periziabile.
“Indiscussa la sua funzione di pagamento …. il “….Coin” è una tipologia di moneta “virtuale”, meglio conosciuta come “criptovaluta”, utilizzata come “moneta” alternativa a quella tradizionale avente corso legale emessa da una Autorità monetaria, è chiaro che la “criptovaluta” deve essere assimilata, sul piano funzionale, al denaro, anche se, strutturalmente, presenta caratteristiche proprie dei beni mobili (dato, questo, che emerge dal richiamo alle relative <>). Essa serve, infatti, come l’euro, per fare acquisti, sia pure non universalmente ma in un mercato limitato, ed in tale ambito opera quale marcatore (cioè quale contropartita), in termini di valore di scambio, dei beni, servizi, o altre utilità ivi oggetto di contrattazione. La “criptovaluta” è quindi da considerarsi, a tutti gli effetti, come moneta, e cioè quale mezzo di scambio nella contrattazione in un dato mercato, atto ad attribuir valore, quale contropartita di scambio, ai beni e servizi, o altre utilità, ivi negoziati.”.
Ed ancora, riferendosi alla criptovaluta: “l’effettivo valore economico della criptovaluta non può in conseguenza determinarsi con la procedura di cui al combinato disposto dei due articoli 2464 e 2465 c.c. – riservata a beni, servizi ed altre utilità, diversi dal denaro – non essendo possibile per le ragioni sopra esposte attribuire valore di scambio ad un’entità essa stessa costituente elemento di scambio (contropartita) nella negoziazione.”
Come a dire che sostanzialmente non è possibile periziare un mezzo di pagamento surrogatorio del denaro.
Avrà forse voluto dire che se una criptovaluta non avesse alcuna volatilità potrebbe certamente ottenere maggiori possibilità di intervenire positivamente sulla capitalizzazione della società?
Risposta affermativa.
Nel caso di specie il controvalore in euro di spendibilità della moneta in epigrafe non ha mai subito oscillazioni ed ha sempre avuto una crescita costante nel tempo con un consenso condiviso del suo controvalore su base mondiale (ovvero con oltre dieci milioni di titolari effettivi in tutti i paesi del mondo).
In ogni caso la pronuncia, laddove solleva dubbi sulla capacità del capitale sociale in criptovaluta ad offrire garanzie a favore dell’affidamento dei terzi circa la solvibilità societaria (proprio in relazione alla volatilità delle criptovalute) trova clamorosa smentita nel consolidato orientamento della giurisprudenza più accreditata secondo il quale il capitale sociale non è più elemento statico di garanzia per i terzi, in quanto può essere tranquillamente speso dalla società pur in presenza di una dichiarazione presso la camera di commercio di “Capitale interamente versato”. Del resto, è a tutti noto come in Italia le società di capitali (siano esse a responsabilità limitata o per azioni) non abbiano il proprio capitale sociale “interamente versato” nonostante ciò sia scritto nella “visura camerale”: nella frase, infatti, manca la locuzione “sempre” accanto alla parola “interamente versato”.
Ed è proprio qui la chiave di volta del nostro ragionamento logico.
Il nostro codice offre all’organo amministrativo (ed appunto a tutela dei terzi) il medesimo strumento previsto per l’aumento di capitale, ovvero la delibera assembleare per diminuire il capitale nel caso in cui gli apporti perdessero parte del loro valore.
Peraltro la Corte, dimostrandosi davvero poco avvezza alla materia, non ha evidenziato il fatto che nel caso di specie la natura intrinseca della criptovaluta consente di avere sempre l’assoluta certezza che le monete apportate siano proprio le medesime inserite nel capitale sociale e che da lì non possano essere spostate o sostituite senza una prova incontaminabile.
Quindi il creditore sociale è garantito in base a due principi:
1– L’acquisizione nel capitale sociale (da parte della società beneficiaria) dei wallet identificati numericamente nel contesto di un sistema definito di Blockchain (quindi assolutamente non falsificabile, inviolabile e certificato ed attendibile) descritti in un atto pubblico conferiscono al creditore sociale l’assoluta certezza della individuazione non solo del titolo riconducibile alla sfera giuridica della società ma addirittura del valore monetario di detto titolo.
2– La pubblicazione sul sito istituzionale della società emittente delle condizioni che regolano le operazioni di “congelamento” dei wallet sottoposti alle severissime operazioni di controllo della sede centrale sono una garanzia straordinaria per i creditori sociali perché qualsiasi creditore munito di titolo esecutivo che dovesse notificare alla società emittente un provvedimento esecutivo nei confronti della sua debitrice (sotto forma di pegno presso terzi) potrà ottenere la sostituzione dell’intestazione dei wallet aggrediti.
Anche in questo caso va detto che la criptovaluta in esame è quindi una criptovaluta veramente pignorabile e quindi la sua aggredibilità è di fatto una certezza di tutela dell’altrui affidamento: sul punto si osserva che è stata prodotta documentazione in sede giudiziale nel contesto della quale la società emittente ha dichiarato di obbligarsi a trasferire il contenuto dell’account riferito al debitore nel caso di ordine del giudice.
Altro elemento di riflessione non evidenziato dai commentatori delle sentenze è l’assoluta inidoneità della pronuncia in epigrafe a creare giurisprudenza condizionante: essa promana, infatti, dalla Sezione della volontaria giurisdizione. In questo ambito non vi sono contraddittori ma esiste solo un rapporto di natura per così dire privatistica tra il soggetto di diritto e lo Stato che verte esclusivamente sull’analisi di un atto sottoposto al vincolo della critica giurisdizionale (per ciò infatti si chiama Volontaria giurisdizione): così pertanto è il cittadino che “volontariamente” sottopone al vaglio del Giudicante una sua azione frutto della propria libera scelta e dell’autonomia negoziale riconosciuta dal nostro Ordinamento.
Quindi, nel nostro caso, se oggi un notaio ritenesse di omologare un aumento di capitale con criptovaluta in base a criteri oggettivi di valutazione economica diversi, nessuno potrebbe obbiettare nulla di nulla.
Del resto, l’impegno di sottoscrivere l’aumento del capitale sociale da parte di un socio non è altro che l’adempimento di un’obbligazione che può avvenire nelle forme previste dalla legge attraverso diverse modalità: la compensazione di crediti, la rinuncia a controcrediti, il pagamento con moneta avente corso legale oppure anche attraverso il pagamento con moneta non avente corso legale se le parti lo dovessero concordare. A ciò si aggiunga che la pronuncia in questione, per legge, non è impugnabile e quindi non sottoponibile al vaglio della Suprema Corte di Cassazione la quale, come è noto, ha sicuramente un’autorevolezza ed un potere giuridico condizionante assolutamente predominanti rispetto ad una sentenza di merito.
E’ ben per questo che la Corte di Brescia nulla ha rilevato rispetto al fatto che il sottoscritto abbia evidenziato come tre anni or sono è stata costituita una società con l’intero capitale sociale (e non il 51% come nel nostro caso) in BitCoin denominata Oraclize srl.
La prova della assenza di autorevolezza “erga omnes” della pronuncia è che ovviamente la società Oraclize srl è tuttora in vita con l’indicazione presso la camera di commercio locale di un capitale sociale interamente versato …in euro.
Le motivazioni che portano all’evidenza di una soluzione positiva circa l’introduzione nel capitale sociale della criptovaluta con le caratteristiche sopra descritte sono qui di seguito riassunte.
La Sentenza della Corte Europea 22.10.15 V° sezione afferma che: “Richiamando una relazione del 2012 della Banca Centrale Europea sulle valute virtuali, il giudice del rinvio indica che una valuta virtuale può essere definita come un tipo di moneta digitale non regolamentata emessa e controllata dai suoi sviluppatori ed utilizzata ed accettata dai membri di una specifica comunità virtuale” .
La più autorevole dottrina (ROSAPEPE, Conferimenti, in Comm. Sandulli, Santoro, artt. 2462-2510, Torino, 2003, 26) ha confermato che può essere conferito nella Srl qualsiasi bene o utilità, purché possa essere valutato economicamente e, quindi, sussista la concreta possibilità di stimare in termini obiettivi l’entità conferita: è pertanto possibile conferire in una Srl diritti su marchi o su altri segni distintivi, diritti di brevetto, diritti patrimoniali d’autore, il know how o l’avviamento commerciale, un segreto industriale o un’invenzione non ancora brevettata e persino crediti o rinunce ai predetti.
Quindi se per il nostro ordinamento sono conferibili anche (ed oserei dire persino) i crediti non si comprende per quale ragione non lo possano essere le criptovalute.
È per questo che nell’atto costituente della prima società srl italiana il cui capitale sociale è stato versato interamente in criptovaluta BitCoin (la Oraclize S.r.l. già menzionata) è stato possibile usare le criptovalute. Nell’atto il notaio rogante afferma che, sebbene la natura giuridica delle criptovalute sia ancora incerta, è stato possibile costituire una società usando i “BitCoin” perché questi ultimi sarebbero comunque una “rappresentazione digitale di un valore” e anche se non sono emessi da autorità centrali o pubbliche e se sono slegati da monete aventi corso legale, possono essere usati come mezzo di scambio e possono essere conservati o commercializzati elettronicamente. Poiché, insomma, può essere attribuito loro un valore, possono essere conferiti nel capitale di una società.
Nell’ambito della costituzione gli estensori dell’atto si erano posti il problema di che cosa potesse accadere se il valore dei BitCoin, noto per essere particolarmente altalenante, avesse dovuto scendere al punto che il valore economico conferito diventasse inferiore ai 10mila euro dichiarati in sede di assemblea (ovvero il capitale sociale).
Sul sito Coinlex (piattaforma informatica di riferimento nel mondo delle criptovalute) si legge: “«Vanno reintegrati se il loro valore scende sotto un terzo», lo commenta a La Stampa Stefano Capaccioli, il commercialista che ha seguito l’operazione nonché co-fondatore di AssoB.it, associazione che rappresenta le imprese del mondo BitCoin”: così, infatti, è accaduto nell’atto notarile ove l’amministratore ha ottenuto dai soci l’impegno alla reintegrazione del capitale nel caso in cui ci fosse una svalutazione della criptovaluta utilizzata.
Tornando alla legittimità dell’apporto in criptovalute va rilevato che l’AGENZIA DELLE ENTRATE rispondendo ad un interpello (interpello n. 956-39/2018 A.E.) di un contribuente ha chiarito in modo inequivocabile che il possesso di moneta virtuale deve comunque essere oggetto di inserimento nel quadro “RW” della dichiarazione dei redditi delle persone fisiche e che la differenza di valore tra il controvalore in euro all’atto dell’acquisto e quello all’atto della loro liquidazione, è sottoponibile alla tassazione del 26%. In ogni caso le monete virtuali sono da interpretarsi sotto il profilo fiscale come valute estere.
Appare quindi evidente che, se un patrimonio per il quale si è fornita la prova della sua spendibilità per l’acquisto di beni e servizi oggetto di tassazione (autovetture – soggiorni in hotel – materiale informatico etc…) è a sua volta IDENTIFICATO DALL’AGENZIA DELLE ENTRATE come appartenente alla sfera giuridica di un soggetto e tassabile in relazione alla sua redditività, detto patrimonio esiste, ha un valore e quindi può essere oggetto di apporto.
In relazione alla funzione dell’apporto, poi, autorevole dottrina ritiene che i conferimenti abbiano prevalente funzione di produttività, più che di garanzia, posto che nulla impedisce alla società di convertire tutti i conferimenti in entità non espropriabili dai creditori, immediatamente dopo la costituzione (così la dottrina dominante: CAMPOBASSO, 178; PORTALE, Capitale sociale e conferimenti nella società per azioni, in RS, 1970, 33).
La criptovaluta in generale (e più che mai una criptovaluta che si usa su una piattaforma di spendibilità condivisa) va considerata come strumento atto all’assolvimento di obbligazioni tipiche e definite dal nostro codice e quindi ottiene di per sé il grado di “valore” economicamente rilevante.
Questo rivoluzionario strumento di pagamento supera i confini della territorialità perché oggi un italiano può vendere (attraverso la piattaforma di spendibilità della moneta in epigrafe) ad un soggetto bulgaro o ceco di Praga beni e servizi ricevendo in cambio monete spendibili subito in Italia mediante l’acquisto (sulla medesima piattaforma o verso soggetti che accettano le monete) di beni mobili ed immobili. Diversamente otterrebbe LEV (dal Bulgaro) o CORONE (dal Ceco) che in Italia non potrebbe spendere o convertire agevolmente in euro.
È però evidente che oggi chi voglia vendere un prodotto od un servizio in un paese ove non si usi una moneta con ampio sviluppo si trova in difficoltà poi a doverla trasformare al valore attribuito dal compratore, con il risultato di una evidente perdita (la cosiddetta celebre “perdita su cambio”) parziale oppure addirittura totale nel caso in cui la moneta ricevuta non fosse recepibile dal suo sistema economico.
Con la negoziazione sulla piattaforma di vendita, invece, lo scambio di beni ed il loro pagamento non subiscono speculazioni valutarie ed il trasferimento di ricchezza è immediato.
Quindi rifiutare la legittimità di un apporto di monete spendibili e comunque utilizzabili per acquistare da privati disponibili ad accettare criptovaluta, sarebbe come rifiutare un apporto consistente nella cessione di un credito costituito da una carta prepagata VISA-AMERICAN EXPRESS oppure anche una semplice fidelity card.
Cosa accadrebbe se d’improvviso fallisse il circuito Visa?
Si pensi che negli ultimi due anni l’accettabilità (e quindi la sua conseguente circolarità) in Italia di American Express è diminuita del 70%…. Però nessun organo di Giustizia e neppure alcun creditore ha mai eccepito l’illegittimità di apporti in aumento di capitale di crediti verso queste società.
Come si può notare spesso la credibilità bancaria di una struttura che attribuisce valori di scambio non è poi garanzia di certezza e stabilità del predetto valore.
Alla luce di quanto sopra esposto appare evidente l’assoluta compatibilità della criptovaluta o comunque delle monete digitali spendibili con il concetto di ricchezza apportabile da un socio per incrementare il capitale sociale della propria società.
Avv.to Sergio Oliveri
Istruzione Diploma di Maturità classica ottenuto a Brescia e laurea in Giurisprudenza conseguita presso la facoltà di Milano Statale. Ha ottenuto l’attestato di superamento di
I parametri delle Aliquote e base imponibile Criptovalute fuori dalla tassazione L’Ivie e l’Ivafe sono due imposte patrimoniali sulle attività detenute all’estero introdotte dal governo